Alberto

Alberto
" Bene vixit qui bene latuit "

venerdì 30 agosto 2013

Seme d'anguria



Non c’è nulla di romantico nel dolore e nella solitudine. Sono formativi. Ma non romantici. Ne facciamo letteratura quando l’abbiamo alle spalle o prima che ne sopraggiunga uno successivo. La misura di quel che dico la si trova forse in fondo a una riflessione sul momento in cui si piange. Si piange davvero? Siamo onesti nel farlo? Quanto c’è già di letteratura in un pianto? Ci piacciamo? Mentre piangiamo? Ci guardiamo? Siamo davvero liberi almeno in questo momento dalla microcamera che abbiamo installata nel cervello? Riusciamo ad avere una nostra intimità? Me lo chiedo ogni volta che mi succede. Cerco di capire se lo sto facendo per un immaginario pubblico. Anche per l’unico spettatore presente in quel momento. Me stesso. E così la maggior parte delle volte il pianto si strozza si arresta rallenta e ingolfa. Altre poche volte sembra di essere davvero pianto e non di piangere. Anche questa è libertà. Ecco. Riusciamo a essere davvero pianto e smetterla di piangere? Questo maledetto riso è troppo salato. E’ che quando finisco il sale grosso e passo al fino non ho la giusta misura nel dosarlo. Lo ingoio lo stesso. Non ho altro. Tra poco avrò un fuoco nello stomaco e più berrò acqua più il fuoco divamperà. Giuro che domani compro il sale grosso. Lo dico da tre settimane ma domani lo faccio. Anche le lacrime sono salate. E anche qui forse si tratta di abilità nel dosare il sale che le rende più o meno sincere. Il sale del proprio dolore. Grosso o fino? Sembra una stupidaggine ma fa la differenza. La differenza tra letteratura e vita.

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