Svanisci. Dietro una quinta armata di tela grezza pronta per essere
dipinta che, bagnata dalla luce di una quarza, per un attimo si
trasforma in un sipario opalescente dietro cui si disegna il profilo
della tua esitazione. Ti fermi ancora una volta. Non sai che ti vedo. Io
so che non torni qui. Infatti, la tua ombra, dopo un profondo sospiro e
aver chinato testa e cappellino e ingobbito le grandi spalle, come fai
sempre quando sai di non saper scegliere, esce di scena. Papà! Mio amico
mancato. Grande artista dei silenzi e dei sogni tenuti in una
cartellina che nessuno guarda mai. Potessi raccontarti e farti capire
quanto invece amo il tuo fallimento. Vorrei che tornassi a costruire
insieme a me quella funivia, ricordi? La maestra di disegno ci disse di
disegnare o costruire qualcosa per la festa di Natale della scuola.
Prima media. Ci passammo tutto un giorno e una notte con mamma che si
preoccupava perché diventava sempre più tardi ma che poi si unì al
cantiere e trovò anche le giuste soluzioni per far scorrere le cabine
col filo da cucire. Tu costruisti la montagnola con la stazione
d'arrivo, i piloni e a valle una verde pianura col parcheggio delle
macchinine.C'erano una Wolksvagen familiare verde bottiglia, una Mini
Morris rossa, una spider color argento e un camioncino giallo. Le
migliori del mio parco macchinine. I fili tiravano su e giù le piccole
cabine dentro alle quali avevamo messo dei soldatini. Polistirolo e
compensato e carta da pacchi e vinavil e cartoncino. A me desti il
compito grande di colorare tutto: il verde dei prati, il grigio
parcheggio con le strisce bianche, l'azzurro del fiume che passava lì
sotto, gli abeti intagliati e incollati sulla collinetta. Fu un figurone
a scuola. Orgoglioso di te, amico mio. Poi qualcosa si è rotto. La vita
non ti è stata amica. E a poco a poco e sceso il silenzio.