Alberto

Alberto
" Bene vixit qui bene latuit "

martedì 13 agosto 2013

Seme d'anguria



E’ un piccolo parto. Ogni volta che accade. Sono sempre piccoli parti quando concepisci la bolla. Una bolla. Impalpabile. Leggera e trasparente. Incerta. Labile. Come una bolla di sapone. Nasce. Cresce. Si stacca poi dal tuo fondo e sale. Sale. Indistruttibile fragilità. Traslucida goccia di spirito d’acciaio. Sale fino a esploderti nel cervello e subito la vedi spiccare nell’invisibile. Farsi luce. E la luce colpisce lo schermo dietro la fronte. Nel suo viaggio verso di te la bolla trasporta lei pure nel vuoto gravido grembo le schiere a migliaia dei tuoi attimi. Un vuoto pieno. L’abitudine ci spinge a chiamarlo passato. Nel passato si stipano ricordi. E questo rimane un grande equivoco. No non parlo di questo. Non parlo di ricordi ma di reviviscenza. Quel tuo vivere è sempre lì. In te. La tua vita tutta. Sempre. Vivo. In attesa solo di un tuo fischio per poter uscire a prendere di tanto in tanto una boccata d’aria. Ed è allo stesso tempo pregno dell’infinita possibilità di cui già lui sa. Lui. L’attimo. La pigrizia ci invita a chiamarlo futuro. Stesso paludoso equivoco. Qui. Sempre. Tutto. In te. Allo stesso tempo. La cattiva confidenza di calcolare il tempo è una pessima abitudine dalla quale non riusciamo a liberarci. Lo schermo si illumina. Intorno scende una preziosa oscurità. Tra poco verrà proiettata la magia. Il mistero. Nulla a che fare con la sacra trilogia passato presente futuro. Le trilogie devono essere un vezzo della nostra specie. Passato presente futuro. Padre Figlio Spirito Santo. Inferno purgatorio paradiso. Pane amore  fantasia. Ecco! Ecco le prime immagini. Immagini di quel tutto che siamo. Solo una leggera messa a fuoco. Perfetto. Ora vedo bene. Vedo un bambino seduto alla sua piccola scrivania. Quieto. Una bella testa. La riga da una parte. Gli piace passare il palmo delle mani sulla superficie verde morbidamente rugosa dello scrittoio. Al tatto quella materia diventa promessa. Sono amici lui e la sua piccola scrivania appoggiata al muro proprio sotto la finestra. Tre piccoli cassetti sulla destra ben allineati. Un largo cassetto centrale. Rotonda. E’ tutta arrotondata e senza spigoli quella radura verde sotto i suoi occhi. Un piccolo prato ben curato abbracciato tutto intorno da morbido legno nocciola. Sotto la finestra. E’ immobile il bimbo. Un maglioncino rosso col collo a V da cui spuntano le piccole ali della camicia bianca a righine di sottile pastello grigio. Immobile e silenzioso osserva la pioggia che piange sui vetri. Ascolta quel pianto. Rapito. Il cuore frigge di mille bollicine. Perché quello che vede e che ascolta non è un pianto di dolore. E’ un pianto d’emozione.  Sono lacrime piovute dal cielo che commosse vengono a salutare di là dal vetro chi sempre è lì ad aspettarle. Immobile. Silenzioso. Osserva con orgoglio i polsini della camicia che ordinati fanno capolino dalle maniche di lana rossa e vanno a ornare le due belle mani abbandonate sopra immaginari fogli bianchi pronti alla ventura. All’odore di inchiostro e di gomma da cancellare. Di matite da temperare. Pantaloncini corti calzini e scarpe. E la pioggia. L’unica cosa al mondo che colma il suo piccolo delicato cuore di una pace amica. La pioggia e l’odore della carta. Ecco si alza. Il naso ora sfiora la finestra. Le dita seguono i sentieri spericolati delle gocce cadenti. La mano sinistra accarezza quella guancia di vetro che lascia intravvedere oltre il velo del fiato il piccolo giardino di foglie e di fiori inzuppato. E la ghiaia sulle cui punte aguzze le gocce sacrificano sé stesse alla gioia del suo guardare. Questo ho visto. E in dissolvenza ecco che si allontana il piccolo bambino silenzioso e quieto. Inciso in me per sempre in quel gesto. Ho sentito di nuovo il vetro scambiare freddo con caldo. Ho sentito ancora respirare i  giovani brividi sul palmo della mia mano. E il profumo dolciastro dello stucco screpolato messo a sposare legno e vetro. Sono piccoli parti. Bolle di sapone. Si può prendere fiato se si vuole. E generarne un’altra.

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