Alberto

Alberto
" Bene vixit qui bene latuit "

lunedì 29 luglio 2013

Seme d'anguria

Me la sentivo colare dal naso. Raramente sbaglio nel percepire quel che accadrà. Il fatto è che sono distratto. Non do il giusto peso agli oracoli. Dovevo tornare a casa. Quella sera dopo essermi scolato una bottiglia di cattivo scotch insieme a Angelo. Con lo stereo a palla che sparava Ramones tarantolati dal picco di una collinetta che dominava il paesello. Con l’acido che montava. Dovevo tornarmene a casa. Ero ospite di Angelo. Sardo. Angelo ascolta forse è meglio smettere! Angelo! Senti! Forse tra un po' qualcuno si incazza! Magari abbassiamo un po'! Urliamo un po' meno! La collinetta era sarda. Il paese lì sotto era sardo abitato da sardi. Dalla nostra postazione la musica rotolava giù come una frana. Lì per lì ero tranquillo se mi si passa il termine. Angelo è del posto. Sa cosa fa. E cosa non deve fare. I sardi sono splendida gente. Solo un po’ permalosi. Comunque leali. Onesti. Se siamo qui a urlare e a bere facendo un casino del diavolo a mezzanotte passata e se Angelo lo fa con me vuol dire che non ci sono problemi. Ora non sto qui ad entrare nei dettagli di come proseguì la serata sardo-punk ma un paio di ore dopo mi ritrovai accovacciato a uovo sull'asfalto di un vicolo cieco del paese la schiena contro il muro di una casa. Il coltello cominciava a premere un po’ troppo sulla mia gola. Erano in tre a picchiare. E uno voleva scannare. Furiosi. Bestiali. Ubriachi. Sardi. Dopo i primi colpi comincio a non sentire più alcun dolore. Troppo concentrato a salvare faccia testa e stomaco. La schiena è al sicuro. Quello con la lama cade. Perde l’equilibrio. Ubriachi. E quindi non perfettamente in grado di rimanere in asse. Si apre un varco inaspettato. Come il topo che scatta verso la tana mi libero degli altri due e fuggo. Fuggo ammaccato e fiero. Fiero dell’aver sopportato tutto. E corro. Corro. Corro. Corro tantissimo. Leggero come un'antilope".

2 commenti:

  1. Il prima e il dopo; l'obnubilamento e la lucidità;la pesantezza delle membra e lo scatto; Bukowski e Kafka. Tutto in diciotto righe. E come sempre, anche chi legge precipita lì, in quella notte sporca di scotch scadente.

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