- Tu hai la sindrome di monopolio di attenzione -
La voce di Antonio è fresca e
ombreggiata come fresca e ombreggiata è la stanza dove stiamo chiacchierando.
Seduto sulla sua poltrona bordeaux
in abito blu e cravatta regimental a
decorare la camicia azzurra. Psicologo. Pedagogo. Criminologo. In realtà non so
per quale delle tre specialità sono venuto a consulto. Be’ almeno con lui si
può decidere all’ultimo minuto. Bello avere delle opzioni. Guardi oggi il mio
superio mi fa girare i coglioni. Senta da piccolo mamma non mi ha dato il
capezzolo. Dottore credo che entro questa sera squarterò qualcuno. Busta uno.
Busta due. Busta tre. Questo cazzo di divano però non è per niente comodo. Non
mi mette a mio agio. Ci si sprofonda e l’equilibrio è instabile. E’ probabile
sia tutta una tattica. La psicopedocrimianalisi è diabolica. Il mio porto
d’attracco è il limite del lato sinistro. Vicino alla finestra. Lì posso
ancorarmi al largo e sorprendentemente solido bracciolo che sembra appartenere
a un divano di altra e ben più robusta tempra. E’ balbuziente. Ed è un amico.
Antonio. Lo psicopedacriminologo. Alle volte no. Non balbetta. Quando parla in
pubblico per esempio fila via liscio con un ritmo e un movimento della voce che
letteralmente ipnotizza. E’ come se ti rovesciassero sciroppo d’oppio nelle
orecchie. Ha classe Antonio. Ma al telefono è una tragedia. Il telefono per lui
è un campo minato. Le parole escono come se dovessero attraversare un campo
minato. Saltellanti. Sincopate. Circospette. Passi lenti. Lunghi. Ben distesi.
Immobilità. Attesa. Per lui il telefono è un plotone d’esecuzione col colpo in
canna pronto a fucilare qualunque suono o pausa abbia il coraggio di
attraversare correndo il check-point. Per lui il telefono è un capestro
insaponato di fresco sospeso sopra una enorme bocca spalancata dove far
penzolare le parole impiccate. Fino a che non vengono inghiottite. Insomma.
Meglio parlargli a quattr’occhi. C’è un minimo di fluidità in più. Ecco perché
sono qui. Nel suo studio. Porta sempre belle scarpe Antonio. Il calzino lungo di cotone blu si inoltra
elegantemente sotto l’ala del calzone. In lui tutto è pulito. La vera d’oro
salda sul bell’anulare sinistro. Dita curate. Belle. Tutto è fresco in lui.
Profumato. Al polso il Patek Philippe con il cinturino di pelle liscia di
colore marrone a farsi vezzeggiare dal libidinoso polsino netto e ben stirato
che spunta da sotto la manica impeccabile. Quasi uno spettacolo per vojeurs.
Rassicurante. Sensuale. Perverso. Osservo il piccolo grazioso orologio
discretamente esposto su un ripiano del mobile di fronte al divano. E’ un modo
per consentire al cliente di tenere sotto controllo autonomamente la scadenza
dei suoi sessanta minuti terapeutici senza metterlo troppo in imbarazzo.
Renderlo responsabile del proprio tempo. Bravo Antonio. Ci vuole tatto in
queste cose. Ho deciso. Non scelgo nessuna delle tre buste. Oggi mi gioco il
jolly.
- Ho paura di ammalarmi –
Gli dico guardando oltre i vetri
della finestra cercando di contare le foglie in capo a un ippocastano gigante”.
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