Alberto

Alberto
" Bene vixit qui bene latuit "

giovedì 5 dicembre 2013

Seme d'anguria



Sono morto ieri più o meno a quest’ora. Ora posso finalmente togliermi la curiosità di vedere come tutto continua nonostante la mia assenza. Ogni cosa esisteva prima di me e continuerà a esistere dopo la mia partenza. Non so dire che effetto mi fa. Seduto sul bordo di questa fontana piantata al centro di questa grande piazza sento solo montare una non troppo dolorosa nostalgia. La bianca facciata del museo si alza impettita e accesa dal sole appoggiata sulle colonne di pietra che accompagnano a balzi gli archi seriosi dei portici gremiti di folla frettolosa. Le grandi finestre si affacciano chiuse di vetro geloso intarsiato nel legno bruno che gli fa da cornice. Fiere di loro simmetria si fan belle dei riflessi d’oro di questa mattina d’autunno. Quante volte sono passato di qui e mai ne ho notato la bellezza. C’erano sicuramente anche ieri. E c’ero ancora anche io. Verde giallo rosso ancora verde poi giallo poi rosso. Il semaforo fa il proprio mestiere con ottusa precisione e ora dà il via libera all’uomo che attraversa pensieroso con al guinzaglio un bel cane  grosso e bianco come il latte. Che ne sa lui di me. Attraversa semplicemente ignaro del nulla in cui ora io sono. Bandiere al vento sopra il palazzo della banca sono coriandoli che giocano ruzzolando nel vento schizzando di colori il bonario azzurro vivo di un cielo infinito come il mare. Tutto vive. Come sempre. Mi chiedo se mi sento più solo adesso oppure quando anche io respiravo quest’aria. Non lo so. So solo che adesso posso finalmente sedermi qui e guardare gli altri vivere senza essere visto e senza dovermi nascondere. Quante volte ho pensato che bello sarebbe stato essere un piccolo insetto e sorvolare l’umanità e le sue cose e spiare tutto entrando ovunque e tutto osservare e sentire. Eccomi qua. Ma il gioco adesso ha un retrogusto di tempo perduto di rimpianto di giorni passati a cercar di comprendere il senso del perché un cuore batte. Due ragazzi seduti qui al mio fianco mi distraggono dal mio quasi asciutto piangere con il loro cicaleccio amoroso condito di piccoli frenetici baci risate e gridolini bisbigliati. Allungando semplicemente una mano potrei quasi toccarli. Passargli attraverso. Non si curano di me e fanno bene. Dalla grande profumeria escono due donne. Gote rosse e bocche infarcite di sorrisi si palleggiano pacchi e pacchettini. Madre e figlia quasi sicuramente. Belle. Da mordere come soffice marzapane. Potessi appoggiare le labbra alle loro guance arrossate sono certo che ne sentirei il fresco frizzante della carne. Profumata. Ai tavolini del bar grandi discorsi e mille gesti che ne disegnano i suoni. Caffè cappuccini acqua minerale fette di torta tramezzini e brioches succhi d’arancia e scontrini che volano via dispettosi senza che nessuno si affretti a rincorrerli. Nessuno bada al fatto ch’io non esisto più. Eppure soltanto ieri avrei potuto scontrare qualcuno sulla via e chiedere scusa per la disattenzione. Offrire una sigaretta al solito questuante. Sbirciare le notizie dalle locandine dell’edicola che sembra una giostra verde e pettegola. Non so davvero che effetto mi fa tutto questo vedere non visto. A tratti è forza. In un istante si tramuta in spreco. Groppo in gola. Superiorità. Ma in fondo in fondo tutto quello che vedo amo. Solo adesso. Quel che non sono riuscito a fare fino a ieri. Più o meno a quest’ora.

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